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BESTIARIO SALENTINO-selvaggi d’amore di morte poeti

Sabato 31 gennaio 2015, Teatro Politeama Greco di Lecce, ore 21

Bestiario Salentino è la diversa forma di interpretare alcuni tra i più bei testi poetici e narrativi di Vittorio Bodini, poeta e saggista tra i più celebrati e ammirati, tenacemente pregno dell’identità di questa terra e al tempo stesso fieramente al di sopra del provincialismo. Il desiderio è quello di celebrare Bodini, nell’anno del centenario della sua nascita, facendo palpitare e vibrare le corde della sua poesia tra parola, accenti, ritmo e sogno.

Le parole che mutano con il variare dei temi e dei toni: l’amore raccontato con sarcasmo e dolore da Salvatore Toma; la terra, amara di nostalgia e aspra di Bestiario raccontata da Bodini, Epifani, Pagano, Fiore; la tenerezza e la follia, la poesia e la morte, che hanno colorato le vite e le parole di Tommasi, Edoardo De Candia,  Ercole Ugo d’Andrea, Antonio Verri ed ancora Salvatore Toma. L’impressionismo dei paesaggi e il pathos dei sentimenti contrastanti costituiscono il nucleo di un gioco teatrale a volte ironico e provocatorio, a volte tenero e struggente.

Quella voce narrante ha le parole di Antonio Errico, autore della tessitura narrativa dello spettacolo, di un racconto di prosa e poesia che, coniugato con il gioco video-sonoro, diventa eco di tempo più longevo della vita.  Una lettura registico – interpretativa che non si muove, come accade di sovente sul distacco, la divisione o la separazione tra il testo e l’attore, ma qui ne diventa corpo timbro essenza del dire, dell’essere detto. Molto suggestive le musiche e sonorizzazioni di Gianluigi Antonaci, che creano luoghi  e ambienti consonanti.

“La morte, l’amore, la poesia. Come tre abissi. Come tre cieli. Oppure come un solo nodo, un’ossessione sola, breve e profonda come la sua vita. Con questo nodo intorno all’esistenza, il poeta si fa paura. Ma un grande poeta, un grande poeta si riconosce dalla paura che si fa. Scrive della morte.

I morti che vivono nella sua poesia sono così: simboli della finitudine e dell’eterno, immagini del tempo e del non tempo, sempre ritornanti, sempre risorgenti, perduti e presenti, eternamente nati, eternamente in noi, specula e coscienza.

Scrive d’amore.  Di un amore istintivo carnale vorace. La donna è sussurro, cuore, carne viva, bestia, gambe, conoscenza, desiderio. Ma anche – e soprattutto – dolcezza che fa vergognare il paradiso. L’amore è dimensione legata a nodo stretto alla morte. Hanno forse la stessa origine misteriosa, lo stesso senso di totalità, di incontenibile tensione.

Con l’amore e la morte un uomo, una donna, dimostrano a se stessi la propria unicità. Sono l’abolizione dello spazio, il superamento del tempo, un ponte verso l’oltre e l’altrove, l’essenza di una storia personale e di un’esperienza esistenziale cosmica e interiore.

Scrive di poesia, scrive di sé. Sa che il poeta può solo tentare una poesia e che questo tentare è una disperazione d’uomo, un rasentare la follia, uno sprofondare in mari o un librarsi in cieli che non sono i normali mari o i normali cieli. Sono un destino che volendo si potrebbe anche rifiutare ma a costo di rifiutare anche la poesia.

Perché poeti così, creature così, che sentono l’urgenza di raccontare i loro destini, le loro passioni, cominciano senza premesse, finiscono senza conclusioni. Poeti si nasce e a volte non si finisce” (Antonio Errico).

“Tutto parte da Salvatore Toma.  Dal suo gioco con la Morte che affonda nella parola fatta di Suono e poi di Musica. Musica del cuore Sangue del Sentimento. Terra selvaggia di Amore laddove la Morte diviene Poesia. Una poesia in concerto con lo spazio senza misura nel ritmo di un accento. Il tempo non è più. È ricordo. Ricordo mancato o mai ritrovato. È la promessa di un immagine sottile che diviene altare che cerca il sacrificio proprio. La luce è una bestia e la favola una minaccia. La morte è un incantesimo dove l’uomo ha bisogno di perdersi” (Salvatore Della Villa).   

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