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La Cassazione: fisco risarcisce contribuente per l’accertamento sbagliato

E con l’Agenzia delle entrate rispondono in solido i due funzionari dell’amministrazione che hanno compiuto l’ispezione in azienda

Il fisco risarcisce il contribuente perché ha sbagliato l’accertamento. E con l’Agenzia delle entrate rispondono in solido i due funzionari dell’amministrazione che hanno compiuto l’ispezione in azienda: a causa del loro errore l’imprenditore si ritrova invischiato in due procedimenti penali dai quali esce innocente sì, ma malconcio; scatta allora il danno non patrimoniale a favore del contribuente per le ripercussioni sulla salute oltre che la vita lavorativa e di relazione: il pubblico ministero non avrebbe esercitato l’azione penale se non fosse stato tratto in errore dai due verificatori. È quanto emerge dall’ordinanza 5984/23 pubblicata il 28 febbraio 2023 dalla terza sezione civile della Cassazione. È inammissibile il ricorso proposto dall’amministrazione finanziaria e dai due suoi dipendenti: diventa definitiva la decisione che li condanna a versare all’imprenditore 20 mila euro per il danno non patrimoniale dovuto alla responsabilità colposa dei verificatori. Al termine dell’ispezione nella concessionaria auto, i funzionari del fisco qualificano alcuni acquisti di vetture usate in parte come operazioni inesistenti e in parte come intracomunitarie in regime di margine: ne vien fuori un’evasione Iva per un importo ingente nell’accertamento condotto per la verifica dei rapporti con un’altra impresa del settore. Peccato, però, che compiano «errori grossolani». E che la circostanza emerga soltanto dai due procedimenti penali nei quali finisce indagato l’amministratore della srl (a parte gli altri accertamenti fiscali): in uno scatta l’archiviazione dello stesso pm, nell’altro il non luogo a procedere pronunciato dal gip «perché il fatto non sussiste». Il tutto perché l’operazione compiuta su due auto è qualificata dagli ispettori come intra Ue, mentre le vetture sono di provenienza italiana: l’applicazione del regime del margine, però, fa salire l’evasione Iva oltre la soglia di punibilità pari a 103.291 euro prevista dall’articolo 4 del decreto legislativo 74/2000. Per gli Ermellini, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo “Sbaglia il Tribunale di Tivoli a bocciare la domanda risarcitoria sul rilievo che le due sentenze favorevoli all’imprenditore rientrerebbero «nella normale fisiologia delle vicende processuali». Coglie invece nel segno la Corte d’appello quando afferma la colpa grave di Entrate e ispettori, considerando che è rimasta senza esito l’istanza di annullamento in autotutela. E che l’Agenzia e i funzionari non rispondono per la denuncia in sé ma per le risultanze degli accertamenti. La pubblica amministrazione, anche quando agisce nel campo della pura discrezionalità, deve rispettare il principio primario del neminem laedere ex articolo 2043: il giudice ordinario può dunque accertare se la condotta dolosa o colposa dell’ente ha determinato la violazione di un diritto soggettivo.

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