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Le reti oncologiche mettono al centro il paziente e razionalizzano le risorse

Ma perché sono ancora poche in Italia?
24 Aprile 2021 – Nella grande rivoluzione organizzativa e tecnologica del “mondo cancro”, il
paziente oncologico deve essere posto al centro del percorso e disporre delle cure più
innovative in tempi rapidi. In questo scenario la rete oncologica rappresenta lo strumento oggi
sempre più indispensabile per garantire da una parte equità nell’accesso dei pazienti a cure
appropriate e di qualità, e dall’altro per razionalizzare e programmare le risorse economiche,
tecnologiche e professionali necessarie nell’ambito dei territori. Ma sul territorio nazionale sono
ancora poche le realtà virtuose.
La rete è stata posta al centro del webinar ‘ONCOnnection LA RETE ONCOLOGICA STRUMENTO DI
GOVERNO E DI PROGRAMMAZIONE DELLE RISORSE NECESSARIE’, organizzato da Motore Sanità,
in collaborazione con Periplo e realizzato grazie al contributo incondizionato di Pfizer, Amgen,
Boston Scientific, Nestlé Health Science, Takeda, Kite a Gilead Company, Janssen
Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson e Kyowa Kirin.
Le ragioni di una diffusione non omogenea a livello nazionale delle reti oncologiche sono state
esposte dai massimi esperti che hanno formulato proposte per dare all’oncologia italiana un
nuovo volto.
“La rete rappresenta il miglior modello per organizzare l’oncologia perché garantisce la prossimità,
l’equità dei pazienti, l’omogeneità dell’offerta e il governo del diritto all’innovazione. La rete mette
al centro della propria attività il percorso, che di per sé stesso è terapeutico e può influire sulla
prognosi – ha spiegato Gianni Amunni, Associazione Periplo – Direttore Generale ISPRO, Regione
Toscana -. Se la rete è riconosciuta e legittimata diventa anche uno strumento di semplificazione e
di appropriatezza nella programmazione, come l’individuazione delle risorse economiche e umane
necessarie perché la rete funzioni e gli investimenti su tecnologie. Prerequisito indispensabile
perché la rete funzioni è che ci siano senso di appartenenza e una gestione che sia collaborativa
e non competitiva. Questo è il punto vero”.
“Una struttura organizzata prevede che ci siano attori, che ciascuno abbia un ruolo specifico, che ci
siano meccanismi di coordinamento tra questi attori, meccanismi di incentivo, meccanismi di
finanziamento dell’intera macchina e dei meccanismi di verifica della attività svolta – ha aggiunto
Giuseppe Turchetti, Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese, Scuola Superiore
Sant’Anna, Pisa -. Il tema della non competizione è il tema centrale e uno dei problemi rilevanti
nel costruire delle reti”.
“La pandemia ce l’ha insegnato – ha spiegato Maria Grazia Laganà, Direttore Direzione generale
della programmazione sanitaria – Qualità, rischio clinico e programmazione ospedaliera Ministero
della Salute – è importante fare squadra, sviluppando di più la sinergia ospedale e territorio e su
questo la rete oncologica dovrebbe essere un punto di forza. È importante prendere in carico il
paziente in ospedale ma anche in tutto il percorso, per questo c’è necessità di avere spazi e
personale dedicato che segue il percorso del malato oncologico”.
Carmine Pinto, Direttore della Struttura Complessa di Oncologia dell’IRCCS Santa Maria Nuova,
Reggio Emilia ha posto il problema della eterogeneità delle reti sul territorio nazionale ma non
completamente diffuse sul territorio.
“Perché abbiamo reti tanto diverse per qualità di funzionamento, per modalità di organizzazione,
per programmazione e per risposte che danno? Condividiamo che la rete può fornire prestazioni
migliori, l’accesso ai pazienti e un razionale utilizzo delle risorse di cui avrebbe bisogno, ma perché
questo non avviene? Perché questo avviene solo in alcune regioni e perché avviene in maniera così
diversa laddove ci sono le reti? Dove abbiamo le reti siamo sempre comunque riusciti a
programmare la distribuzione delle risorse delle tecnologie o va implementato maggiormente
questo aspetto? Nelle aree dove ci sono le reti o stanno nascendo, abbiamo definito di quanti Da
Vinci avevano bisogno o ne hanno avuti uno ogni 50-60 chilometri e molte volte sono stati anche
sottoutilizzati? Abbiamo definito i centri di biologia molecolari ad altro profilo? E ancora: abbiamo
all’interno delle reti regole tariffarie che sono completamente diverse tra regioni e regioni e
abbiamo un nomenclatore che aspetta da 5-6 anni. Penso che questo sia un tema centrale se
vogliamo sviluppare un sistema rete. Il problema è passare da una cultura di rete a scelta politica
nazionale”.
Secondo Carmine Pinto le motivazioni di questa profonda disomogeneità sono le diversità delle
situazioni sanitarie di partenza (sanità più o meno organizzate e sanità che si erano già dati
modelli organizzativi) e diversità amministrative. “Se crediamo che la sanità funzioni meglio con la
rete questo va dimostrato con dei numeri: oggi i dati li abbiamo e abbiamo la possibilità di
raccogliere flussi di dati ma non riuscimmo a farli parlare tra di loro, non riusciamo a produrre
indicatori e a utilizzare al meglio i dati del Registro tumori. O tutto questo lo rendiamo sistema o
avremo ancora queste forti carenze”.
“Il passo fondamentale per trasformare davvero i sistemi a rete, e questo vale per tutte le reti di
patologie croniche non solo per le reti oncologiche, sarà il cambio di modalità di finanziamento dei
servizi sanitari: il finanziamento non sia più a quota capitaria e a prestazione ma sia a percorso
assistenziale. Questo è uno dei grandi progetti che sta portando avanti la Fondazione Periplo che
coinvolge molte delle reti oncologiche esistenti” ha spiegato Pierfranco Conte, Associazione
Periplo – Direttore SC Oncologia Medica 2 IRCCS Istituto Oncologico Veneto, Padova, Direttore
della Scuola di Specializzazione in Oncologia Medica Dipartimento di Scienze Chirurgiche
Oncologiche e Gastroenterologiche, Università di Padova, Coordinatore Rete Oncologica Veneta.
“Serve sinergia e un coordinamento nazionale forte e vero delle reti oncologiche regionali,
abbiamo delibere di istituzione diverse, ci sono reti organizzative e reti di tipo collaborativo e ci
sono reti con finanziamenti dedicati e reti con finanziamenti non dedicati” ha evidenziato Franca
Fagioli, Direttore f.f. Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta.

“Non c’è in Italia un Lea delle reti in genere e finché non si costruisce insieme una base comune su
cui organizzarsi non andremo da nessuna parte – ha aggiunto Mario Boccadoro, Professore
Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute, Università di Torino -. Penso che
una revisione parziale del titolo quinto per quanto riguarda la sanità ci potrebbe aiutare ad
armonizzare il nostro sistema e quindi anche a dare alle reti un ruolo istituzionale riconosciuto”.
“Dal punto di vista dei pazienti – ha rimarcato Elisabetta Iannelli, Segretario Generale di FAVO –
Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia – lo sforzo importante è
assicurare nella presa in carico la parte dell’assistenza e della riabilitazione distinguendo la fase
in cui si trova il paziente, perché può essere meglio preso in carico dal centro oncologico piuttosto
che dal territorio. È vero che abbiamo una carenza di personale sanitario, in particolare medico,
ma abbiamo anche figure nuove come gli infermieri di comunità che possono rendere possibile una
medicina di prossimità che per i pazienti oncologici, quando è possibile, è certamente un valore
aggiunto. L’altro sforzo è un investimento in sanità digitale sotto tutti i punti di vista, cruciale per
il monitoraggio e il governo del sistema, per la ricerca, nonché modalità integrativa di presa in
carico del paziente sotto forma di telemedicina e televisita. C’è necessità, insomma, di risorse
strutturali da una parte e di fondi straordinari dall’altra che può garantire il Piano nazionale
oncologico in linea con quello europeo, che a cascata dall’Europa all’Italia arrivano alle singole
regioni”.

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