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ARNESANO: una famiglia, un nome, uno stemma

a cura di Tarcisio Arnesano 

Sull’origine e sul significato del nome di Arnesano, cittadina del Salento, molto è stato discusso ed ipotizzato. Tutte le tesi sono rispettabili e degne di considerazione, anche se la mancanza di prove documentarie non ha finora aiutato gli studiosi. Il presente lavoro, che riguarda quest’argomento, non presume di essere esauriente nè di sostituirsi ad altri ben più validi ed organici. Il mio intento è solo quello di offrire un contributo al dibattito sull’origine del nome e dello stemma civico di Arnesano, a beneficio soprattutto delle giovani generazioni e con l’augurio che gli studi al riguardo possano continuare con ulteriori approfondimenti.

Poco probabile, a mio parere, anche se suggestiva, appare l’ipotesi che Arnesano derivi direttamente dalla radice Arna, formazione linguistica di origine mediterranea che significa concavità, letto di fiume, depressione, avvallamento, ipotesi che metterebbe direttamente in relazione il nome del paese alla particolare morfologia del territorio, su cui sorge, caratterizzato dalla presenza di una vasta depressione, nella quale insistono numerosi altri comuni.

Secondo questa ipotesi, l’etimo arna verrebbe rafforzato dall’antico termine dialettale salentino Cupa o Valle della Cupa (in arabo kuba= fossa, deposito; in greco kubba/kumbe= coppa, vasetto per bere; in lat. cupa = it. coppa, incavo della palma della mano per bere), territorio di cui Arnesano  fa parte insieme ad altri comuni. Cupa significa, (guarda caso!) regione con avvallamenti, depressione (proprio ad Arnesano infatti si raggiunge il punto più basso della depressione della Cupa con appena 18 metri s.l.m.). Il termine “Cupa”, nei principali dialetti salentini, delle 3 Calabrie e meridionali in generale, indica qualcosa d’incassato, affondato, concavo. Nell’italiota antico l’espressione “Cupa”, di origine greca, indica regione e, secondo alcuni, “Arnesano” risalirebbe ad “Arnissa”, idronimo pugliese, che indicherebbe una regione paludosa o lacustre. A dire il vero la denominazione di contrade paludose, patula/e/i, la ritroviamo nella valle della Cupa in doline, fondi e Masserie,dei territori estesi da Novoli a Campi sino a Cavallino. La stessa radice arna identificherebbe, sempre nel Salento, una vasta area geografica, non distante da Arnesano, sul versante ionico, dove si trova un’altra depressione, un tempo paludosa e acquitrinosa, oggi bonificata, denominata Arneo. La presenza di tali cavità o avvallamenti non è però di tale entità da giustificare, nè per Arnesano nè per l’Arneo, la tesi del nome dato in base alla morfologia del luogo. Il territorio dell’Arneo, da sempre terra di pascoli, potrebbe infatti essere collegato all’allevamento molto fiorente nella zona, degli ovini, in particolare degli agnelli (dal greco arnòs=agnello, aggettivo àrneios).

Gerhard Rolfs infine fa derivare  il cognome o gentilizio Arnisanu/Ernisanu dal toponimo Arnesano in provincia di Lecce. Lo studioso sostiene che il toponimo deriva dal lat. Arnensanum, nel senso di Villa appartenente alla Tribus Arnensis= Tribù dell’arno (in etrusco arno significa corso del fiume, valle incavata), dalla città umbra di Arna, città che sorge vicino ad una valle dove scorre un fiume, cioè un arno (in questo caso il Tevere). Risulta per me arduo collegare la Tribus Arnensis umbra con il territorio salentino.

Il termine Arnesano (oggi con un duplice significato: di toponimo, in quanto indica il comune in provincia di Lecce e di gentilizio in quanto contraddistingue un cognome presente e diffuso soprattutto nel Salento), è molto più probabile, a mio parere e come altri sostengono,  che derivi dal latino (Predium) Arnis(i)anum, che significa predium Arnisii, cioè terra di Arnisio, e sarebbe sorto tra il II ed il I secolo a.C. al tempo dell’assegnazione delle terre dell’ager publicus, dopo la conquista della Messapia da parte di Roma. Il nome Arnisius non è documentato nel latino classico, mentre è abbastanza documentato e diffuso in Italia e in Europa a partire dal medioevo come nome di battesimo: ho trovato ad esempio in un atto notarile della Corte di Enrico III, re d’Inghilterra (1207-1272): “Arnisius filius Arnisii (Curia regis Rolls: 4-5 Henry III)   e, proprio a Lecce, nel 1181 in un documento che riguarda la Chiesa dei SS. Niccolò e Cataldo: “Ego presbyter Arnisius cappellanus Liciensis Ecclesiae interfui”, (Vedi Pietro De Leo, Le carte del Monastero dei Santi Niccolò e Cataldo in Lecce (secc. XI-XVII), 1978, pag.17). In molte parti d’Europa Arnisius figurava nel medioevo e figura anche come gentilizio.

Diciamo subito che Arnisius non ha origine latina, ma ha radice messapica e deriva dal gentilizio o etnico Arni(s)sios che significa originario di Arnissa, l’antica città tra l’Illiria e Macedonia, da cui la famiglia o gruppo etnico era giunto durante una delle ondate migratorie dall’Illiria verso la penisola salentina, a partire dal X secolo a.C. Arnissa è una città greca che esiste tuttora ed è una nota località turistica della Grecia settentrionale.

Arni(s)sios si riferisce perciò ad un preciso gruppo etnico che, proveniente da quella regione, si stanziò nell’attuale penisola salentina e in particolare, come vedremo, a Kailìa (gr.), o Caelia  (lat.), l’attuale Ceglie Messapica. Il nome gentilizio è presente successivamente nella parte meridionale della Messapia nelle fertili terre vicine alla messapica Rudiae assegnate dai Romani dopo la guerra sociale, I sec. a.C., o ad un ipotetico e non documentato centurione romano Arnisio per meriti militari o, più probabilmente, alla potente famiglia messapica degli Arni(s)sii, che inizialmente, come tante altre, per il forte senso dell’autonomia delle città messapiche, era stata ostile alla colonizzazione romana del Salento messapico, e successivamente era divenuta assegnataria delle fertili terre, sulle quali Roma imponeva il pagamento di un tributo annuale. Nel suo lavoro Storia del Salento Luigi Carducci, affrontando il discorso della colonizzazione romana della Messapia (le cui città resistettero ai potenti invasori romani per salvare la propria autonomia, ma ben presto dovettero soccombere), ci dice che i Romani tolsero ai Messapi ribelli le terre, che divennero Ager Publicus, e, dopo la centuriazione, ne assegnarono alcune ai centurioni, ma altre le ridistribuirono ai vecchi proprietari Messapi per favorirne il processo di romanizzazione ed integrazione, come del resto Roma era solita fare. Un’assegnazione di fertili terre molto vicine alla messapica Rudiae (non è casuale la vicinananza tra la cittadina di Arnesano e il sito archeologico di Rudiae) ottenne, riteniamo noi, la gens arnis(s)ia, che forse risiedeva già nella zona proveniente da Ceglie. La lingua latina, come si sa, sostituì gradualmente il dialetto messapico e molto probabilmente fu allora che il messapico Arnisios divenne Arnisius (nome di gens, non individuale).[1]

L’epigrafe messapica: “Ettis Arnisses Theotorres”

Durante la ricerca di un documento che potesse far luce sull’origine del nome Arnesano, mi sono imbattuto in quella che al momento resta l’unica, ma non per questo meno valida, testimonianza scritta. Si tratta di un’epigrafe ritrovata a Ceglie Messapica (Brindisi) e studiata a fondo da storici ed esperti glottologi. L’iscrizione di Ceglie è per noi la prova che Arnesano ha una forte relazione con la civiltà messapica e di conseguenza il toponimo Arnesano, nella sua radice linguistica, avrebbe origini molto più antiche di quanto finora si sia creduto. L’epigrafe, è stata ritrovata, come si è detto, a Ceglie Messapica nel 1828, (è stata pubblicata da Theodor Mommsen nel 1848), in una cripta all’interno del giardino di Don Giuseppe Cristoforo, in un lato del sepolcro di un personaggio, evidentemente in vista della città, lì vissuto e morto. L’iscrizione risale, per i caratteri grafici dell’alfabeto messapico, al II-I secolo a.C. e recita così: “Ettis Arnisses Theotorres“, tre parole al genitivo singolare secondo lo schema Praenomen, Nomen della gens, Cognomen o Funzione sociale. Traduzione: [(Questo è il sepolcro) di Ettio di Arnissa (sacerdote) di Theotor (divinità maschile molto venerata dai Messapi in tutto il Salento)].

L’iscrizione è stata studiata da molti esperti della lingua e civiltà messapica e, salvo qualche eccezione, tutti concordano sull’interpretazione da dare alle tre parole.

Ettis è genitivo del praenomen, o nome individuale, da Etos, latinizzato in (V)Ettius.

Arnisses, nome gentilizio, è il genitivo maschile messapico del nominativo Arnisios>Arnisias, latinizzato poi in Arnisius in seguito alla conquista romana, allorchè la lingua dei conquistatori sostituì gradualmente il messapico.

Teotorres è il genitivo dell’aggettivo Teotorios>Teotorias (sacerdote o devoto di Teotor).

Arnisses quindi è il nome della famiglia, cui apparteneva il sacerdote di Theotor, originaria di Arnissa e trasferitasi a Ceglie.

Nel dialetto salentino, ma soprattutto in molti documenti in volgare e nelle antiche carte geografiche (Arnisano, Arnizano), conserviamo traccia della messapica e successivamente latina: si dice infatti Arnisanu/Arnisani, cioè abitanti  del predium Arnisii, nome della famiglia di origine messapica proveniente da Arnissa, città della Macedonia, di cui parla per primo Tucidide. Il toponimo della città di Arnissa trae il nome direttamente da arna, estesa e profonda cavità occupata dal grande lago Vegoritis, su cui ancora oggi sorge.

Per completezza di informazione riportiamo, nella parte che più interessa, la scheda dell’epigrafe riportata da Francesco Ribezzo, Corpus inscriptionum Messapicarum, a cura e con introduzione di Ciro Santoro, Bari, 1978, pagg.49-50:

“37. Cae. I.  In pariete sepulcri anno 1828 in horto Josephi Cristoforo detecti. “La varia lezione (1-5) viene dalla lettera di Giuseppe Allegretti, ch’ebbi con le carte del De Tomasi…Dice l’Allegretti che le copiò da quelle di Vincenzo Carlucci”. Mommsen Ann.Inst. XX, p.92, tav. agg. D; U.D. p. 63, taf. II. n. 1 (ex Tomasio) (1); Fabretti CII 2960 M. e C. IM n.62.

ΕΤΤΙS  ΑRΝΙΣΣΕS  ΘΕΟΤΟRRΕΣ

…Cum APNISSES (*Arnisias), gentilicio vel demotico nomine, illyro-macedonicae ex adverso collocatae urbis Άρνισσα nomen est conferendum, de quo v. SCHULZE Lat. Eigenn. 32,5. Ex *Arnisius nomine quodam et Arnesano (*Arnisianum), praedii olim, nunc Sallentini oppidi prope Lupias nomen, derivatum patet….”.

Lo stemma gentilizio

Una notizia ed una foto, che riguardavano la presenza di uno stemma gentilizio della famiglia Arnesano, scolpito sul timpano di una chiesa ed eseguito nel 1614, mi ha indotto ad approfondire la ricerca e, collegando il cognome Arnesano a quello di una delle Chiese dedicate a San Francesco di Paola nel Salento, ho ipotizzato che si trattasse dell’omonima Chiesa di Otranto, sul colle della Minerva, detta anche Santa Maria dei Martiri. Attraverso una breve visita ad Otranto, ho scoperto che lo stemma è proprio quello di Giovanni Francesco Arnesano e si trova sul timpano della facciata della chiesa. Sotto lo stemma, sul portale, vi è una epigrafe latina, che, in modo molto chiaro, fa una breve storia della chiesa stessa e del suo committente. La successiva visita all’interno della chiesa mi ha permesso di aggiungere altre e più precise informazioni al riguardo. Lo stemma Arnesano è presente anche al centro  dell’arco che immette nel presbiterio, questa volta insieme a quello della moglie di Giovanni Francesco, la leccese Marzia Leuci, ed infine sulla tela del San Lorenzo in cui, oltre allo stemma, vengono ritratti, in eleganti abiti seicenteschi, i due coniugi committenti del dipinto. Sulla tela è raffigurata anche la Chiesa, ricostruita dalla fondamenta, a spese dell’illustre coppia, insieme al Convento. Pertanto il quadro dovrebbe essere di poco successivo al 1614 e dovrebbe trattarsi di un ex-voto a San Lorenzo per grazia ricevuta.

L’epigrafe, sul portale all’ingresso della chiesa, recita così:

D.O.M.

SS. MARTYRIBUS HYDRUNTINIS A TURCIS OB

CHRISTI FIDEM CONSTANTISSIME SERVA

TAM CRUDELITER CAESIS ET D. FRACISCO

PAULANO VICTORIAE AUGURI TEMPLUM

CLAUSTRUMQUE OLIM A DUCE CALABRIAE CON

DITUM VETUSTATE PENE COLLAPSUM E

FUNDAMENTIS IN AMPLIOREM FORMAM RE

DACTUM MAIORE REDITU LOCUPLE

TATUM  JOANNES FRANCISCUS ARNESAN

NUS LUPIENSIS ET MARTIA LEUCIA CONIU

GES PIETATIS ERGO PP – DD –

A. D. M.DC.XIIII

Traduzione: Ai Santi Martiri Otrantini, uccisi crudelmente dai Turchi per aver conservato con estrema fermezza la fede di Cristo e a San Francesco di Paola, profeta della loro vittoria, questo tempio con il chiostro, eretto un dì dal Duca di Calabria, poi quasi rovinato dal tempo, ora dalle fondamenta portato a forma più ampia e arricchito di maggior reddito i coniugi Giovanni Francesco Arnesano di Lecce e Marzia Leuci mossi a pietà devoti dedicarono nell’anno del Signore 1614″.

Molti testi parlano di quest’opera realizzata con le cospicue ricchezze della famiglia di Giovanni Francesco, che agli inizi del Seicento dalla natìa Arnesano si era trasferito nella vicina Lecce per il prestigioso incarico di Negoziante Publico in Lecce, in Otranto e in tutta la Provincia.

Il testo più antico è quello di Girolamo Marciano (1571-1628), che evidentemente riuscì a vedere la chiesa appena costruita e in Descrizione, origini e successi della Provincia d’Otranto, Napoli, 1855, pag. 39, la descrive così:“Fece Alfonso nel luogo sul colle, ove avvenne il martirio, edificare una chiesa nominata Santa Maria dei Martiri, col monastero de’ frati dell’ordine di San Francesco di Paola, dotandola di convenienti entrate. Ed oggi è stata rinnovata di nobile e sontuosa fabbrica, non senza gran dispendio, da Giovanni Francesco Arnesano per sua devozione”.

D. Saverio De Marco, Compendiosa istoria del martirio che nel 1480…, Salerno, 1853, pag. 32:“…Alfonso. Ad onore e memoria dei nostri santi eresse, sul colle del martirio, piccola chiesa con chiostro accanto. Nel 1614 Francesco Arnesano e Marzia Leuci , sua consorte, ambo leccesi, la piccola memoria cangiarono in nobil Chiesa, eretta da’ fondamenti, aggiungendovi proporzionata abitazione, ed assegnando buoni fondi pe’ religiosi di San Francesco di Paola, i quali di presente con esemplarità vi fanno il divin servizio”.

Antonaci- Laggetto, Otranto: testi e monumenti, 1955, pag.181: “L’attuale tempio in stile barocco fu costruito nel 1614 sull’area dell’antica chiesa dei Martiri per devozione dei coniugi leccesi Giovanni Francesco Arnesano e Marzia Leuci, il cui stemma si vede nell’interno sulla volta, all’incrocio degli archi“.

Ma chi fornisce molti documentati particolari sulla figura e sulla personalità di Giovanni Francesco Arnesano è senza dubbio Gino Giovanni Chirizzi in Arnesano, Vita religiosa e vita popolare di una comunità meridionale (secc.XVI-XX), 1991.

Lo stemma civico

Lo stemma civico della città di Arnesano, per molti versi inspiegabile, potrebbe avere avuto, come prototipo, lo stemma gentilizio della famiglia Arnesano, una tra le più antiche ed illustri della comunità cittadina arnesanese (v. Gino Giovanni Chirizzi, Arnesano Vita religiosa e vita popolare…1991, pag.99). Lo stemma gentilizio presenta una salamandra adagiata su un terreno con tre modesti rilievi, quasi del tutto avvolta dalle fiamme, sormontata da due gigli di Francia e da tre astri raggianti a otto punte. Lo stemma dei coniugi Arnesano-Leuci all’interno della stessa chiesa si presenta invece diviso in due campi, a sinistra la solita salamandra circondata dalle fiamme su una verde pianura erbosa, sovrastata da due gigli e da tre astri a otto punte su cielo azzurro, a destra un leone rampante contro una colonna.

La famiglia degli Arnesano, discendente, come abbiamo cercato di documentare, dagli antichi Messapi,  fra il Cinquecento e il Seicento divenne una delle famiglie più influenti e facoltose di Arnesano, comunità piccola, ma da sempre molto attiva, anche per la sua vicinanza a Lecce. Molti degli Arnesano furono personaggi di primo piano della vita cittadina: si fregiavano del titolo di nobili, come attestano molti atti notarili, erano ricchi proprietari terrieri o dediti al commercio, uomini di chiesa (molti furono arcipreti di Arnesano) e di cultura, giudici, notai, sindaci e consiglieri dell’Università di Arnesano. Anche le donne della famiglia ebbero ruoli non secondari. Di tutto ci informa, con rigorosa documentazione, Gino Giovanni Chirizzi nel suo prezioso lavoro Arnesano, vita religiosa e popolare di una comunità meridionale (secc. XVI-XX), Congedo, Galatina, 1991. Non c’è da stupirsi pertanto se l’illustre casata aveva uno stemma gentilizio che rappresenterà, dalla metà del Seicento in poi, anche l’intera città.

Il personaggio più noto è senz’altro, come si è detto, quel Giovanni Francesco Arnesano, di Arnesano, figlio di Antonio di Cicco Arnesano, grosso commerciante e negoziante pubblico in Lecce, Otranto e in tutta la Provincia, in stretto contatto con i mercanti veneziani e fiorentini. La sua ricchezza gli permise di accollarsi tutte le spese della ricostruzione e ampliamento a Otranto  della Chiesa di Santa Maria dei Martiri e dell’attiguo convento dei Minimi di San Francesco di Paola sul colle della Minerva, che minacciava di ruinare.

Il suo stemma conferma il carattere e le capacità imprenditoriali del personaggio.

In araldica infatti la salamandra, animale raro, simboleggia la costanza, la resistenza al male e ai nemici, il valore militare, perché si riteneva che potesse resistere in mezzo alle fiamme. Per tale motivo è rappresentata simile a una lucertola, con collo lungo, lingua e coda che termina a freccia, posta sempre di profilo e appoggiata su tizzoni ardenti da cui si sprigionano fiamme. Spesso è rappresentata con la testa rivoltata che vomita una fiamma. Raramente viene rappresentata la salamandra al naturale. Il giglio invece è il più nobile dei fiori usati in araldica. Il giglio araldico francese è diverso da quello naturale e dal giglio di Firenze. Il giglio di Francia si è ampiamente diffuso negli stemmi italiani dopo la calata di Carlo VIII e significa potenza, sovranità. La stella infine simboleggia la guida sicura o l’aspirazione a cose superiori.

Una breve ricerca mi ha consentito di accertare che la salamandra tra le fiamme fu inserita per la prima volta da Francesco I, re di Francia, nello stemma reale, accompagnata dal motto: “Nutrisco et exstinguo” (“Mi nutro del fuoco cattivo e lo spengo”) . La ritroviamo più volte, ad esempio sulla facciata della Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma e nello stemma di molte cittadine francesi. Altri motti che si accompagnano alla salamandra:“Ne lo foco vive stando sana” e “Viget dum pallida” “Virtuti sic cedit invidia””Con refrigerio in mezzo al fuoco io vivo”.

Lo stemma del re francese con la salamandra avvolta dalle fiamme e i gigli, giunse successivamente anche in Italia fin dal 1526, portatovi da Andrea Rioux, ambasciatore di Venezia presso la corte parigina  di Francesco I. L’ambasciatore veneziano fu determinante nella formazione della Seconda Lega Santa tra il Papa, Francesco I, la Signoria Veneta, e il Duca di Milano. Con il diploma il sovrano concesse al Rioux, tra l’altro l’uso, nello stemma di famiglia, anche del giglio e della salamandra reale, diritto estensibile a tutti i successori in tutte le Terre, Luoghi e Signorie. [2]

Si sa che ai sovrani francesi, e a Francesco I in particolare, fecero capo in Terra d’Otranto vari signori, tra cui il Provveditore veneziano Antonio Giuranno,  il barone di Caprarica Vincenzo Guarini ed il leccese Gabriele Barone, come ci informa Girolamo Marciano. Nulla di più probabile che anche gli Arnesano fossero politicamente filofrancesi, come i veneziani, o semplicemente con loro in affari commerciali e finanziari. Tale aspetto meriterebbe però un approfondimento.

Lo stemma gentilizio dei nobili Arnesano, che Giovanni Francesco forse ereditò dai suoi avi, appare pertanto collegato alla Francia e potrebbe risalire al terzo decennio del Cinquecento, cioè alla presenza veneziana e francese, che si protrasse fino al 1530, in Terra d’Otranto e in Otranto città.

Lo stesso nome Francesco, indubbiamente collegato con la Francia, ritorna spesso nella discendenza degli Arnesano.[3] Non ultimo nella famiglia Arnesano troviamo il nome Marsimilla, sorella dello stesso Giovanni Francesco Arnesano, nome molto raro e documentato solo in Francia. Lo stemma Arnesano pertanto rinvia direttamente alla Francia e alla presenza ed influenza francese in Italia e in Terra d’Otranto.

Lo stemma cittadino di Arnesano, la cui versione più antica appare nella chiesa matrice ai due lati dell’Altare maggiore dedicato all’Assunta e risalente al 1665, potrebbe essere la riproduzione, molto stilizzata, dello stemma otrantino. D’altro canto l’altare fu realizzato  da Giuseppe Zimbalo durante la lunga arcipretura (che si protrasse per circa mezzo secolo, dal 1657 al 1705) di Don Pietro Arnesano (1629-1705), che sicuramente ebbe modo di conoscere a Otranto il grande stemma in pietra della illustre famiglia, cui egli stesso apparteneva, realizzato nel 1614 e lo fece riprodurre per l’altare dell’Assunta. Forse fu in quella circostanza che esso divenne anche lo stemma dell’Università di Arnesano, come recita l’epigrafe sulla cimasa dell’altare, realizzato a spese del clero e del popolo: “Sacer ordo et populus Arnesanensis posuerunt”. Evidentemente nel riprodurre lo stemma, data la notevole altezza della Chiesa di Otranto, non tutti i particolari del modello in pietra furono rilevati dall’ignoto scalpellino dell’altare di Arnesano e vennero fuori soltanto le tre rozze e improbabili collinette con un’altrettanto inspiegabile fiamma che fuoriesce da quella centrale. Dello stemma di Otranto manca la salamandra che, come testimoniano le foto, appare in bella evidenza, anche se avvolta dalle fiamme di un rogo, adagiata su un terreno accidentato (che comunque dà l’idea di tre collinette) o su tizzoni ardenti, sormontata da due gigli di Francia e da tre astri raggianti a otto punte. Il bassorilievo dell’altare della Matrice di Arnesano è modesto artisticamente, tuttavia ha una grande importanza storica (Sacer ordo et populus Arnesanensis posuerunt Anno Innovatae Naturae 1665), e oggi potremmo affermare che lo stemma civico di Arnesano non viene dal nulla, ma ha una sua origine illustre ed un suo preciso significato.

Cfr. Maggiani A.  Studi etruschi, vol. 50, 1982, pag.177.

Le genti non greche della Magna Graecia: Atti dell’undicesimo Convegno di Studi sulla Magna Graecia, Taranto 10-15 ottobre 1971, Vol. II

AA.VV., The prae-italic dialects of Italy, vol. 3, pag.6

Carlo Morbio, Francia ed Italia i manoscritti francesi delle nostre biblioteche, 1873, 322 pagine, alle pagine 148-149-150 riporta la trascrizione integrale di un Diploma, datato Giugno 1526, in lingua francese e concesso, per meriti politici a Messere Andrea Rioux, ambasciatore a Parigi della Serenissima Repubblica di Venezia: “…donnons et octroyons par ces presentes de notre grace et liberalité plaine pouissance, et autorité royale une fleur de Lys pour mettre et ajouter aux armes anciennes de sa Maison, Timbrées de la moitié d’une Salamandre, et à l’entour d’icelles ecrit en devise: Pour bien servir, ainsi qu’elles sont cidedans peintes et figurées. Et voulons et il nous plait de notre simple grace que lui et ses successeurs puissent les dites armes ainsi faites comme ci-dessus licitement porter, et ellever en toutes Terres, Lieux et Seigneuries, que bon lui semblera en temps de paix, ou de guerre, et d’icelles jouir, et user perpétuellement, et tout ainsi, et par la forme, et manière que sont et ont accoutumé faire les autres nobles, portant semblabes armes et einsegnes; et afin que notre presens don, et octroy soit et demeure à jamais valable à la dècoration du nom et maison du Messire André Rioux et de ses successeurs.”

Michela Pastore, Arredi vesti e gioie della società salentina dal Manierismo al Barocco, 1982, Emeroteca Provincia Brindisi, pag. 100 e 110, ricorda ad esempio un Antonius de Cicco (diminutivo di Francesco) Arnesano de Arnesano regius ad contractus judex in due Inventari stilati a Monteroni il 24 aprile 1571, che riguardano il Palazzo baronale di Monteroni, per il quale vedi anche Mario Cazzato, Salvatore Errico, Il Palazzo baronale di Monteroni, contributo alla storia, 1998, pag. 95 e 103, in cui il nome Francesco (Cicco) Arnesano ritorna ancora una volta.

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