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Cassazione, è reato sottomettere la moglie anche senza l’uso della violenza. Stop alle umiliazioni e le vessazioni

Il monito a rispettare il coniuge arriva dalla Corte di cassazione con la sentenza 36170/23 pubblicata oggi 30 agosto 2023. Per i giudici di legittimità, è responsabile del reato per maltrattamenti in famiglia chi sottomette la moglie, anche se lei è forte e reagisce e anche senza l’uso della violenza. , ha respinto il ricorso di un uomo e confermato la condanna. La reclusione a carico dell’uomo è stata confermata dagli Ermellini che hanno respinto il ricorso di un uomo avverso la sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta, e confermato la condanna, applicando a questo caso il principio generale secondo cui il reato in esame non postula necessariamente la esistenza di minacce o, comunque, di atti volti a ledere o porre in pericolo la integrità fisica dei soggetti, costituenti quello che sarebbe dovuto essere il nucleo aggregante di attrazione degli affetti familiari, conviventi con l’imputato (o comunque condividenti con questo un comune progetto di vita) essendo necessaria (e sufficiente) una condotta anche solo di tipo maltrattante, la quale si può materializzare anche con atti, certamente realizzati con sistematicità, semplicemente idonei a svilire gravemente la dignità personale di tali individui, in tale modo compromettendo la opportuna serenità della società naturale costituita dalla famiglia. Per gli Ermellini, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “Neppure la tesi della forza di reazione di lei è riuscita a smontare l’impianto accusatorio: infatti, scrivono gli Ermellini in un altro passaggio chiave, in tema di maltrattamenti in famiglia, a fronte di condotte abitualmente vessatorie, che siano concretamente idonee a cagionare sofferenze, privazioni e umiliazioni, il reato non è escluso per effetto della maggiore capacità di resistenza dimostrata dalla persona offesa, non essendo elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice la riduzione della vittima a succube dell’agente.”

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