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Presentazione del libro “LA BOTTEGA DEL RIGATTIERE” DI PAOLO VINCENTI

Come Yeats , citato sulla prima pagina del libro, Paolo Vincenti, cercando le origini dei propri archetipi letterari, ritorna nel luogo dove “ dove tutte le scale hanno inizio” , cioè nella sudicia bottega da rigattiere : “tra vecchi bricchi , vecchie bottiglie e un bidone rotto,/ Vecchi ferri, vecchie ossa , vecchi stracci, la puttana pazza /Che tiene la cassa[…]. L’autore, in questa sua fatica letteraria, si aggira tra vecchi scaffali polverosi , dove sono stipati , ammassati simboli ancestrali in disuso; visita angoli sommersi da ciarpame archetipo o da purificazioni oniriche cristallizzate; si sofferma sugli accumuli di categorie culturali estromesse dal moderno; ri-percorre sineddochi della dimenticanza; recupera ermeneutiche dell’amnesia, ricicla paccottiglia di risulta dell’epitomania . La bottega è metafora e rappresentazione euristica della sovra-abbondanza.

La bottega del rigattiere è il luogo primordiale dell’affastellamento di residui psichici dell’ esperienza umana e culturale dell’autore, datori di senso del presente, che fanno da premesse minori in un sillogismo che vuole espandere la validità all’universale. La bottega del rigattiere è un luogo letterario, che si pone, a parere di chi scrive, sul frastagliato confine della “semiosfera” delle avanguardie artistiche salentine ( concetto introdotto da Jurij Lotman nel suo “La semiosfera”,1984, in ‘Lotman’ 1985) , che ha in Antonio Verri, Salvatore Toma, Maurizio Nocera, Antonio Errico, Vittore Fiore, F.S.Dodaro con la sua Arte Genetica, i suoi più grandi esponenti.

Oggi, la semiosfera-Salento anche da un punto di vista fisico e antropologico, appare come un centro che resiste alla costante erosione di fattori culturali esogeni, dove la periferia funge da cuscinetto a sua protezione. La porosità del liminale permette sempre l’osmosi, ma ciò che penetra deve per forza essere trasformato, reinterpretato, codificato. Quando ciò non avviene ,il rischio è la creolizzazione, la perdita di identità e di senso, riduzione dello spazio semantico di una determinata cultura a vantaggio dell’esterno. Come per lo stregone, la cui dimora era significativamente posta nella periferia territoriale del villaggio, al confine fra mondo culturale e mondo mitologico , così la bottega del rigattiere si colloca alla periferia di questo Salento, tra l’avanguardia sperimentale post-moderna e la cultura popolare di massa omologante. Così come Verri riprese e salentinizzò la lezione di Joyce e Queneau, nel suo trittico sul tempo Vincenti aveva tradotto i moderni linguaggi aderenti ai clichè dei mas-media degli anni ‘80-‘90. In questo suo nuovo lavoro letterario, invece, l’autore rivisita, attraverso un’operazione letteraria originale , alcune radici di questo universo culturale, andandole a cercare tra i classici latini e greci. Così Vincenti si riappropria e riscrive il mito dionisiaco dalle Baccanti di Euripide. Il figlio di Semele, con il suo tiaso, i suoi satiri e sileni , viene fatto danzare al centro del Salento. E le baccanti , di cui il dio si circonda , ricordano le verriane Betisse pizzicate dal ragno della frenesia sessuale, che l’autore immagina , sbircia, ama, sogna. La rivisitazione della tragedia di Euripide, si dipana in una ri-scrittura dei dialoghi, dove la tragedia viene traslata in commedia. I dialoghi , come ad esempio quello tra Penteo e Tiresia diventano esilaranti, leggeri, sincopati, svuotati dal pathos dell’opera euripidea. Cosi anche nelle altre sezioni del libro (compresi alcuni recuperi memoriali dalle sue precedenti opere) si dipana la trama avvincente di una scrittura fatta di pretesti, contesti, rimandi, citazioni, suggestioni, giochi di parole,un agglomerato di scrittura con cui Vincenti esprime l’affastellamento, l’accumulo e gli angoli sommersi di quest’era in evoluzione, e si fa portabandiera di una cultura dell’eterogeneità, testimone prezioso, forse unico.

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