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ROCA NEL MEDITERRANEO

Mostra archeologica sugli scavi di Roca Vecchia (Melendugno, Le):

L’Età del Bronzo e del Ferro

Nello splendido scenario del Castello di Acaya, l’Istituto di Culture Mediterranee della Provincia di Lecce promuove, per l’anno 2013, una Mostra archeologica sugli scavi di Roca Vecchia (Melendugno, Le) dal titolo “ROCA nel Mediterraneo”. Attorno al tema delle relazioni umane e degli scambi commerciali e culturali, che da sempre hanno avuto come teatro d’azione il “mare in mezzo alle terre”, si colloca l’esperienza di un territorio naturalmente predisposto ai contatti con l’esterno, raccontata attraverso la testimonianza di uno dei siti chiave per la comprensione delle dinamiche storiche che hanno coinvolto l’estrema propaggine sud-orientale italiana a partire dalla metà del II millennio a.C. Nell’arco cronologico compreso tra la Media età del Bronzo e la Prima età del Ferro, periodo nel quale assunsero notevole rilevanza gli aspetti legati alla gestione e al controllo del territorio, si assiste alla nascita di numerosi abitati costieri fortificati, connessi alla navigazione di cabotaggio e all’interscambio con le nuove compagini di provenienza egeo-orientale. Proprio per Roca, un venticinquennio di ricerche sistematiche ha comprovato l’esistenza di uno straordinario insediamento a carattere emporico, attorno al quale ruotavano gli interessi di una fitta rete di traffici ad ampio raggio che dalla tarda età del Bronzo collegava la nostra penisola all’Adriatico settentrionale, all’Egeo e al Vicino Oriente. Grande spazio è dedicato al contesto ambientale e alla ricostruzione dell’ecosistema antico e alle trasformazioni intercorse negli ultimi 3000 anni, dai processi naturali a quelli antropici. Nell’ambito espositivo trova spazio un’ampia rassegna di materiali esotici, dalle ceramiche di tipo minoico-miceneo, ai metalli di derivazione europea-continentale, agli avori e ad altro ancora. Tra gli oggetti indigeni, oltre alla significativa presenza di vasellame d’uso quotidiano foggiato a mano, figurano alcuni esempi di artigianato specializzato, da quello metallurgico rappresentato dai bronzi dei due ripostigli scoperti nei livelli pavimentali della grande “capanna-tempio” del Bronzo Finale, a quello vascolare, che vede la produzione dei grandi dolia, per la prima volta realizzati con l’ausilio del tornio. A questi, si associano altri singolari manufatti, come la ricostruzione del disco in lamina d’oro, simbolo del culto solare, proveniente dallo stesso contesto menzionato in precedenza. La memoria e la sopravvivenza del culto nella successiva età del Ferro, insieme alle più tarde testimonianze epigrafiche raccolte a Grotta Poesia, che da sola costituisce la prova tangibile della lunga vicenda insediativa di Roca, sono i temi affrontati nella sezione conclusiva della mostra.

Il Castello di Acaya

Il Castello di Acaya è un immobile di proprietà della Provincia di Lecce (sito nel territorio comunale di Vernole, frazione Acaya) affidato in gestione all’Istituto di Culture Mediterranee, istituzione in house dalla Provincia di Lecce. Acaya è uno dei pochi esempi ancora intatti di città-fortezza d’epoca medievale del Meridione d’Italia e costituisce un bell’esempio di architettura militare rinascimentale. La località deve il nome ad un’antica famiglia nobiliare che ricevette il feudo da Carlo II d’Angiò nel 1294, rimanendone in possesso per tre secoli. Nel 1535, di fronte alla minaccia delle incursioni turche sul territorio, Gian Giacomo dell’Acaya ebbe l’incarico da Carlo V di fortificare il borgo e consolidare il castello a scopo difensivo. Tale progetto innovativo divenne presto modello per tutti gli architetti dell’epoca. L’edificio è di forma trapezoidale con due grandi torri circolari. Una scala conduce al piano nobile, contraddistinto dal susseguirsi di eleganti sale tra le quali merita particolare attenzione quella a nove lati, con volta a calotta, arricchita da un fregio che racconta gli episodi salienti della vita di Gian Giacomo. I sotterranei, scavati nella roccia, contengono numerose cisterne e vasche per la raccolta delle derrate alimentari. Con la morte di Gian Giacomo e la vendita del feudo, cominciò l’inarrestabile decadenza di questa località e delle sue meraviglie architettoniche, fino alla riscoperta e al restauro da parte della Provincia di Lecce. Durante i lavori, inoltre, è stato ritrovato un affresco raffigurante la Dormitio Virginis, databile alla seconda metà del 1300 e che fa riferimento alla tradizione dei Vangeli Apocrifi. Oggi il castello ospita mostre, esposizioni e meeting di ambito nazionale e internazionale.

Il Logo della Mostra

Mediante la fusione, puramente simbolica, tra la pianta schematica del Castello di Acaya e quella di un motivo iconografico caratteristico della tarda età del Bronzo nell’Italia centro-meridionale, si è voluto rimarcare il legame tra il contenitore della mostra e quello che sarà il suo contenuto. Il castello, infatti, appare circondato da un fossato il cui profilo può essere letto, intuitivamente, sia come segno proprio dell’architettura militare ma anche come simbolo astratto del carro solare, elemento questo che ricorre con due diverse varianti nella sintassi decorativa dei dischi in lamina aurea scoperti a Roca.

L’itinerario della Mostra

Sezione introduttiva

Qui, accanto alle motivazioni storiche e culturali che stanno dietro la scelta del Castello di Acaya per ospitare una mostra su Roca, sono forniti i supporti informativi fondamentali per l’inquadramento generale del sito e del contesto territoriale preso in esame, insieme alla storia degli studi che vanta un insolito primato.

1)      Da Roca ad Acaya (le ragioni di una scelta);

2)      La lunga storia delle ricerche condotte a Roca a partire dal Rinascimento;

3)      L’insediamento protostorico di Roca e il contesto ambientale. La ricostruzione dell’ecosistema antico (geomorfologia, ambiente, flora, fauna, clima etc.) e le trasformazioni intercorse negli ultimi 3000 anni, dai processi naturali a quelli antropici;

4)      L’area naturale protetta delle Cesine: il relitto ultimo di un ambiente sopravvissuto alla pressione antropica.

Sezione tematica

In questa sezione sono enucleati i temi nodali della mostra attraverso una scansione temporale delle principali fasi evolutive dell’abitato, ad ognuna delle quali sarà dedicata una specifica sala.

5)      Le mura di fortificazione: l’assedio;

6)      I contatti trans marini: la navigazione;

7)      I luoghi del culto e la vita materiale;

8)      Memoria e sopravvivenza del culto nell’età del Ferro;

9)      La Grotta Poesia e le testimonianze epigrafiche del culto.

Roca protostorica

L’insediamento di Roca occupa una bassa penisola delimitata a nord e a sud da due profonde ingressioni marine e, in corrispondenza dell’istmo, trova uno sbarramento nella poderosa opera di fortificazione che la difendeva da terra verso ovest. L’aggere, lungo200 m e largo dai 25 ai30 m è il risultato di successivi ispessimenti operati a cominciare da uno muro che nel Bronzo Medio era fiancheggiato da un fossato esterno, e terminati al momento della distruzione per incendio dell’abitato alla fine dell’Età del Bronzo. Un ulteriore episodio distruttivo, databile al XV secolo a.C., segna la conclusione della prima fase di occupazione del sito a cui appartengono gli imponenti resti della porta e delle postierle che ne garantivano l’accesso. In uno di questi passaggi (C) hanno trovato la morte sette individui di un unico gruppo familiare che lì si erano barricati per trovare riparo a seguito di un probabile assedio dell’abitato. Un’altra vittima coinvolta anch’essa nell’evento, forse un guerriero, era precipitata insieme alle coperture lignee della porta principale.

Dalla seconda metà del II millennio a.C. il sito intrattenne assidue relazioni con l’Egeo (Creta e Grecia continentale). I contatti sono documentati, oltre che dalla ceramica, da manufatti d’avorio, di bronzo e da altri materiali esotici. Tra il XIV e il XIII secolo a.C. le impressionanti quantità di ceramiche egee o di tradizione egea presenti a Roca, insieme ad altri prodotti di derivazione nord adriatica, confermano il ruolo di scalo nodale svolto da Roca nelle relazioni commerciali ad ampio raggio che collegavano le diverse aree del Mediterraneo.

Per l’età del Bronzo Finale Roca rappresenta la testimonianza più cospicua di sopravvivenze abitative attualmente note, perlomeno nell’Italia sud-orientale. Infatti, l’intera superficie della penisola (3 haca.) restituisce porzioni di abitato scandite dalla combinazione costante di edifici in legno a pianta ortogonale di grandi dimensioni, bordati da percorsi a massicciata e apparentemente orientati secondo il medesimo criterio a comporre un tessuto abitativo tendenzialmente regolare. Ma è soprattutto nel settore nord-occidentale del sito che le indagini hanno consentito lo straordinario riconoscimento di un monumentale edificio, anch’esso ligneo, a giusta ragione definito dagli scavatori “capanna-tempio”. Dai livelli d’uso sepolti dal crollo per incendio degli elevati della struttura, infatti, proviene una quantità considerevole di materiali ceramici, insieme ad alcune installazioni fisse come altari in terra battuta e fornelli per la cottura di cibi.

In seguito alla distruzione per incendio dell’abitato, avvenuta tra il XII e l’XI secolo a.C., il promontorio di Roca non viene abbandonato, ma repentinamente rioccupato e riorganizzato. Le evidenze dell’età del Ferro rivelano un carattere tendenzialmente più disperso e meno monumentale rispetto alle testimonianze più antiche. Di estrema rilevanza sono, in particolare, il rinvenimento di strutture e aree destinate a finalità rituali o cerimoniali e la cospicua presenza di ceramiche importate dall’area corinzio-corcirese (vasellame fine e grandi contenitori da trasporto) in diversi contesti attribuibili alla fine dell’VIII secolo a.C.

L’occupazione umana del sito di Roca è connessa sin dalle prime fasi di vita con la frequentazione a scopo cultuale della Grotta Poesia, ubicata a S della penisola che ospita le rovine dell’insediamento protostorico. Il nome attribuito al complesso carsico potrebbe derivare dal termine greco-medievale posià, con riferimento alla presenza di una sorgente d’acqua dolce. In origine accessibile da terra, la grotta è oggi invasa dal mare nella parte bassa ed aperta in l’alto a causa del crollo della volta. L’importanza archeologica del monumento deriva dalla scoperta di uno straordinario insieme di testimonianze grafiche incise sulle pareti lungo tutto il perimetro interno per un’altezza di circa 8 m. I graffiti e le iscrizioni (messapiche, greche e latine) vennero eseguiti in un ampio arco di tempo, dal tardo Neolitico all’età repubblicana. Tra i segni riferibili all’età del Bronzo alcuni (doppie asce e bucrani) rinviano chiaramente a iconografie tipiche della Creta minoica.

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